giovedì 9 maggio 2019

Rassegnarsi ad esser vento

(Ti racconto qualcosa e questa diventa lontana, diventa una vita fa, di un'altra vita.
Finché non lo faccio è come sospesa, senza un passato e senza un futuro, è sempre adesso eternamente.
Ma senza confini, nella mente mia, ha l'oblio come destino)

Finisco il mio turno al primo lavoro, mi preparo ad andare al secondo.
Il trasferimento dall'uno all'altro lo faccio in scooter, di solito.
Sono nel giardino che apparecchio la sella con i guanti, il casco, portafoglio, cellulare, chiavi, occhiali e tante altre cose, controllo che ci sia tutto, una check list necessaria perché mi dimentico spesso qualcosa che risulterà fondamentale di li a poco.
Con la coda dell'occhio intravedo una signora entrare, vestita di nero e grigio, capelli grigi, passo indeciso, a tratti infermo.
Si guarda intorno come a ispezionare, non va verso la reception decisa, capisco che non è una cliente, non ha bagaglio ma solo un vecchio libro un po' ingiallito, di quelli che si trovano nelle bancherelle per pochi centesimi.
Non riesco a leggere il titolo.
C'è una dependance nel giardino, la camera 107, ha un piccolo patio appena fuori la porta della camera con una sedia di ferro bianco ed un piccolo tavolino anche lui di ferro, entrambi un poco scrostati.
Si guarda ancora intorno, soprattutto guarda per aria, i grandi rami che incombono sulla sua grigia testa, forse li trova una minaccia, poi si siede sul freddo ferro non ingentilito da nessun cuscino.
Apre placida il libro ed inizia a leggere.
Non può stare li, si è accomodata in uno spazio riservato all'ospite della camera 107, non so se sia dentro, non lo ricordo, ma non può stare li.
Io devo andare, che faccio?
Faccio finta di non averla vista e me ne vado?
Non sembra un gran pericolo, neanche un gran fastidio, ma li non può stare.
E poi credo che se andassi via qualcuno glielo farebbe notare in maniera poco delicata.
Meglio saperlo da me con il mio tatto che saperlo da altri.
Mi avvicino e le dico "signora non può stare qui, è riservato alla camera, davanti l'entrata ci sono altri tavolini disponibili, li può leggere più comodamente"
La signora alza la testa distrattamente, ma sembra non vedermi, non mette a fuoco la mia figura, mi attraversa il suo sguardo che si perde in un punto lontano e indefinito, come se fosse stata distratta da una folata di vento.
China di nuovo il capo e ricomincia a leggere, ma in realtà sembra che non legga, anche sul libro gli occhi fissano un punto qualsiasi, una o due lettere di poche parole che il destino ha adagiato li.
La lascio stare, torno allo scooter e mi vesto per il trasferimento.
Accendo il motore e subito dopo vedo che si rialza, imbocca placida il vialetto di uscita per andarsene, mi viene un senso di colpa per averla disturbata, ma in realtà sembra più delusa da questa piccola oasi che disturbata o seccata dal mio intervento.
Mi passa accanto, ancora come fossi vento.
Sembra non riconoscermi come una persona, ma appena mi passa a pochi centimetri, quando ormai m'ero rassegnato ad esser vento, mi rivolge la parola senza guardarmi
"non riesco a trovare un posto per leggere"

Ma io non lo so, se l'ha detto a me, o sussurrato al vento.

Non trovare un posto per leggere è orrenda condizione, ben peggiore di quella di non aver il tempo di leggere.
Ho capito che, anche io, con te, sto cercando un posto, 
per leggere.
Un posto che non è luogo fisico.

Se riveli al vento i tuoi segreti, non devi poi rimproverare al vento di rivelarli agli alberi.
(Khalil Gibran)


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