domenica 24 novembre 2019

Dissolto

Non so dire come il mondo sia precipitato in questa sorta di giudizio universale.
Non so dire neanche come io sia precipitato in questo mondo che precipita.
Lo attraverso in una sorta di mite domenica primaverile, salgo i gradini delle scale a due a due e mi dirigo al quarto e ultimo piano di questa palazzina che si trova in un quartiere borghese di una città imprecisata di non so quale epoca, ma sembrano gli anni 30 del secolo scorso.
La porta dell'appartamento è aperta, c'è qualche foto in bianco e nero sparsa qui e là, ma sembra una casa dismessa, non credo troverò qualcuno.
Ma il me del sogno si dirige deciso verso il balcone, li c'è una donna che legge in compagnia del sole, all'orizzonte, sullo sfondo del cielo blu, mille scie di condensazioni di aerei in quota, che vanno chissà dove.
Non le parlo, sono venuto a guardarla un'ultima volta, anche se non so chi sia, se una madre, una moglie, o una donna che amavo mai conosciuta, forse è per questo che non le leggo il volto ma solo i lineamenti gentili.
Non sono sicuro neanche di essere qui, infatti lei non mi vede, come non mi vede quest'uomo nello spoglio soggiorno mentre fuma una sigaretta nervoso
"dobbiamo andare" le dice, e si dirige verso il balcone.
Ripercorro le scale a ritroso pensando alle mille faccende che mi aspettano, tutte cose ridicole e senza valore alcuno considerando dove sta andando il mondo, e considerando il mio stato etereo che dovrebbe farmi sentire libero dal gioco delle regole.
Tutti devono cercare un biglietto aereo, on line, nelle agenzie di viaggio (perché esistono gli aerei, internet, le agenzie di viaggio negli anni 30?), o si dirigono direttamente all'aeroporto.
File chilometriche in ogni dove, traffico impazzito, gente che cerca i familiari, che si organizza, cerca di organizzarsi, ma è impossibile trovare una logica in questo caos.
La storia è questa, tutti devono trovare un biglietto aereo per qualche posto, c'è un volo per ogni persona, e una persona per ogni volo, un ultimo volo, dopo di che ogni volo verrà fermato (forse per sempre), e le persone rimarranno nel luogo dove atterreranno le loro vite (forse per sempre).
Ora ci si immagini il parapiglia per accaparrarsi il volo nel posto che gradiamo, perché non ci venga assegnato rendom in un luogo remoto o inospitale, lontano dalle persone e dalle cose che amiamo.
Ma il giudizio universale è beffardo, si scopre che i posti più ambiti (chissà quali, ma immagino che siano le città belle e vivibili, non certo teatri di guerra e povertà) vanno presto esauriti, così bisogna ripiegare alla seconda scelta, poi alla terza, poi alla quarta...
Magari riusciamo ad ottenere un volo in un posto vicino casa nostra, a soli 45 min di aereo, ma perché poi, chi ci sarà a casa nostra proveniente da chissà dove? E i nostri parenti? E i nostri cari? In quale fottuta località delle Terra saranno ridistribuiti?
Io non so se abbia anche un senso scegliere una destinazione, in base a cosa?
Arrivando potremmo accorgersi che è così cambiata da come era una volta, il mondo si sta trasformando in maniera imprevedibile, gli abitanti di domani saranno altri, anche di questa città dove sono ora, arriveranno da lontano, alcuni da molto lontano, solo pochi parleranno la lingua di ora.
Sarà il caos, gli uffici saranno chiusi, gli ospedali anche, i poliziotti e i medici dovranno partire per alte destinazioni, e non si sa se arriveranno nuovi poliziotti e nuovi medici a rimpiazzarli, ma come potrebbero?
In quale ospedale si dovrebbero presentare? A quale responsabile di pubblica sicurezza dovrebbero mettersi a disposizione?
Non si sa chi dovrà lavorare e dove.
Non servirà più questa libreria che sta chiudendo, il suo libraio è indaffarato a sprangare bene la serranda, forse spera di poter tornare.
Scendo le scale con calma, il sole entra dalle finestre e, con la coda dell'occhio, colgo il riflesso della mia immagine su un qualche vetro, l'ultima immagine di me che conosco.
Devo pagare la luce e il gas, la rata di non so cosa, andare da non so bene chi a dirgli non so bene cosa, il primo lavoro, il secondo lavoro, il pneumatico della moto da cambiare, i fiori sulla tomba di mia nonna, e poi la spesa, il lavandino da riparare, la visita medica, telefonare a......a chi? Non lo ricordo.
E poi ancora altre cose che non mi sovvengono, una lista lunga, quasi infinita, ma devo ancora acquistare il biglietto, che ansia.
Mi fermo in un bar invece, mi ordino una corona con una scorzetta di limone e mi metto ad osservare la gente, il mio occhio oggi non ha osservato ancora niente.
Sono un irresponsabile, il mondo finisce ed io sono qui al bar placido con una birra in mano.
Non so come, ma scopro di avere già un biglietto.
E' per Berlino, e parte tra un'ora e mezza.
Forse potrei anche farcela, se parto ora in 45 minuti sono in aeroporto.
Invece continuo a fare i miei giri, ora manca solo un'ora, poi 40 minuti....
ormai è impensabile che io possa prendere quell'aereo.
Non si sa che cosa succede a chi non prende il suo volo, forse sparirà, sparirà per sempre, si dice che svaniranno nel nulla milioni di persone, li chiameranno "i dissolti".
Accade ancora qualcosa di nuovo, improvvisa  sorge la coscienza di chi, meglio dire cosa, sono.
Ora si capisce il perché di questa ansia di fondo come un brusio, ma anche della pace che la tiene a bada.
La gente non mi vede, sembra che io sia uno spirito che aleggia, forse un uomo suicida che si aggira nei "suoi territori", come un detective in cerca delle trame che sleghino i nodi della sua esistenza reale, per darle un senso, per liberarsi finalmente e definitivamente di lei.
O forse sono già un "dissolto", ho perso il mio volo per Berlino, è per questo che non riconosco quasi nulla di questo spazio.

Ho avuto la febbre alta mentre sognavo, quando mi sono svegliato non ricordavo dove fossi, ho guardato dalla finestra e il sole mi colpiva il viso.
Ero al ventesimo piano, di fronte a me altri grandi palazzi con decine di piani, delle montagne dietro di loro e il sole che cominciava a diventare una palla di fuoco.
E' Tardi, sto perdendo il mio volo, ora ricordo, vado a nord.
Poi a casa.

a 2019



Prima ho pensato che non vivrei mai in uno di quei grattacieli infiniti,
poi ci ho pensato meglio e ho capito che invece potrei farlo.
Tra il grattacielo nella tua foto ed una baita in montagna cambia solo la scenografia ma la solitudine è la stessa.
Mi affaccerei da una di quelle anonime finestre e guarderei in silenzio le luci esterne, le auto in colonna che si snodano come un serpente nella città, e avrei in mano una tazza di the, forse una sigaretta se decidessi di iniziare a fumare.
Sarei un puntino nel buio di cui nessuno conosce l'esistenza, tranne probabilmente qualcuno nel grattacielo di fronte che osserva le piccole finestre illuminate e segue il mio puntino intermittente
e si chiede chi io sia.

e 2019

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